La nascita dell’’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune di Firenze :

organizzazione, funzionamento e competenze nei primi anni di attività (1907-1918)

Marina Gennari*

 

L’istituzione dell’Ufficio Belle Arti e Antichità

L’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune di Firenze fu istituito il 26 dicembre 1907 dall’amministrazione popolare guidata dal sindaco Francesco Sangiorgi, durante un’affollata adunanza pubblica, al termine della quale, in piena notte e fra scroscianti applausi, fu approvato all’unanimità il Regolamento costitutivo che ne fissava le attribuzioni e le responsabilità[1].

Al nuovo ufficio, retto dal sindaco con l’assistenza di una commissione consultiva di dodici membri scelti tra artisti, cultori d’arte, di storia e di archeologia, fu affidata la tutela dell’immenso patrimonio artistico, storico ed architettonico di proprietà o di competenza comunale. Un compito che fino a quel momento era stato affidato alla prima sezione, denominata edilizia, dell’Ufficio Lavori Pubblici, alla quale facevano capo, oltre a tutti i fabbricati di proprietà o in uso del municipio in tutto il territorio comunale, anche l’osservanza dei regolamenti edilizi, degli allineamenti stradali, dei permessi di edificazione e le feste pubbliche. Una congerie a ben vedere di attribuzioni che, sommate a quelle delle altre due sezioni dell’ufficio tecnico, riguardanti l’approvvigionamento idrico, l’illuminazione e la manutenzione e progettazione di strade, avevano reso assai difficile per il personale addetto a svolgerle riuscire ad assolvere con la dovuta cura un compito tanto specifico e delicato come quello della conservazione del patrimonio storico cittadino[2].

La costituzione quindi di una struttura vocata esclusivamente a questo scopo andava a colmare una vera e propria lacuna all’interno dell’ordinamento degli uffici municipali.

Il provvedimento seguiva di pochi mesi la legge n. 386 sul Consiglio superiore, gli uffici e il personale delle Antichità e Belle Arti, con la quale veniva approvata la riforma del servizio di tutela sul territorio nazionale, e ad essa si ispirava apertamente.

La legge del 1907 costituiva infatti l’ultimo di una serie di strumenti normativi che, a partire dal 1902, avevano definito e regolamentato il complesso mondo della gestione e conservazione dei beni culturali, attraverso l’istituzione di uffici statali, tecnici ed amministrativi decentrati, la cui gestione veniva affidata a personale qualificato sul piano scientifico[3].

La volontà di un cambiamento di direzione rispetto alle precedenti amministrazioni fiorentine in campo storico artistico si era manifestata già nel discorso di insediamento del nuovo sindaco Sangiorgi, durante l’adunanza del 14 settembre del 1907, in cui il primo cittadino non aveva esitato a dichiararsi primo “difensore devoto ed innamorato” dell’arte antica per far riguadagnare alla città il perduto primato culturale, perchè “male pretenderebbe provvedere all’avvenire di Firenze, chi non fosse custode geloso, severo del suo grande passato”[4] (fig. 1).

Questa volontà si era rivelata essere un serio impegno già a pochi giorni dall’insediamento, quando, nel corso di un’intervista rilasciata al giornale Il Marzocco, il sindaco aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di ricercare i mezzi necessari alla creazione di un organismo municipale, distaccato dall’ufficio tecnico, con responsabilità precise nel campo storico-artistico. Un ufficio in grado cioè di assicurare un’unità di indirizzo per tutelare i tesori artistici comunali, primi fra tutti le sette chiese monumentali e Palazzo Vecchio[5].

Con l’istituzione dell’Ufficio Belle Arti e Antichità e con l’approvazione del regolamento il sindaco aveva quindi mantenuto fede alla parola data e aveva aperto la strada ad una lunga stagione di restauri e di azioni rivolte alla difesa del patrimonio culturale fiorentino.

Il consenso cittadino fu ampio e fra i commentatori si levò la voce del Carocci che, dalle colonne di Arte e Storia, applaudì la nascita del nuovo ufficio rallegrandosi “ che il municipio di una città così ricca di gloriose tradizioni” prendesse “il suo posto in prima linea” per “esercitare un’azione efficace in argomenti dai quali non può disinteressarsi”[6].

Il regolamento costitutivo del 26 dicembre 1907

Nel regolamento costitutivo, approvato durante l’adunanza del 26 dicembre 1907, furono fissate in modo assai preciso le competenze attribuite al nuovo organismo municipale.

All’Ufficio Belle Arti e Antichità venivano infatti  affidati quattro compiti principali:

a) la conservazione degli edifici di interesse storico artistico di proprietà comunale;

b) la conservazione dei monumenti collocati sulle vie e piazze pubbliche;

c) l’amministrazione del patrimonio artistico, archeologico e storico del Comune;

d) la vigilanza sulle cose immobili e mobili di proprietà privata di interesse storico, archeologico o artistico.

Accanto all’opera di manutenzione, restauro, custodia e gestione degli edifici monumentali, dei monumenti all’aperto e dei beni artistici, storici e archeologici di proprietà o competenza comunale vi era quindi un’opera di controllo sul patrimonio appartenente ai privati.

Quest’ultimo punto riguardava un argomento di estrema attualità e anche di estrema delicatezza nel contesto politico italiano di quegli anni. Il sindaco lo aveva volutamente fatto inserire per marcare l’importanza di estendere quanto più possibile l’opera di salvaguardia dei tesori artistici fiorentini, molti dei quali erano stati letteralmente trafugati dai patrimoni privati nei decenni precedenti, senza che nessuna legge fosse riuscita a porre un freno al pericoloso fenomeno. Anzi, di fronte a coloro che giudicavano il provvedimento “poco simpatico”, il Sangiorgi difese fortemente la sua scelta: se questa infatti, dichiarò, fosse riuscita ad impedire che anche un solo oggetto di grande valore artistico venisse portato via dalla città per andare ad accrescere le fila di quelli esistenti nei musei esteri, essa avrebbe raggiunto lo scopo prefissato e sarebbe stata  perciò “degna di plauso e approvazione”[7].

L’organico che avrebbe dovuto assumere e svolgere i compiti affidati alla nuova struttura municipale era ridotto al minimo indispensabile: un segretario, scelto negli uffici interni del Comune, affiancato da un architetto e da un commesso, scelti fra il personale dell’ufficio tecnico.

Il nuovo organismo infatti, per ragioni principalmente di ordine economico, non nacque come completamente autonomo, ma come distaccamento dei Lavori Pubblici. E questo, proprio in sede di discussione del Regolamento, dette adito a non poche osservazioni da parte di alcuni consiglieri comunali, che temevano un mal funzionamento dovuto ai prevedibili conflitti di competenze tra i due uffici.

La scelta, come veniva riconosciuto dallo stesso sindaco, era stata forzata: di fronte alla impossibilità di gravare sul bilancio comunale con la creazione di una struttura totalmente in grado di funzionare da sola e formata quindi da un congruo numero di impiegati (almeno sette), si era preferito trovare una soluzione possibile all’interno dell’ordinamento amministrativo già esistente.

La decisione doveva essere stata sofferta. Una prima stesura del regolamento, a cura del capo ufficio tecnico Vittorio Tognetti, ci rivela infatti una scelta iniziale all’insegna della completa dipendenza dell’ufficio Belle Arti da quello tecnico.

Per le Belle Arti era stata infatti proposta la creazione di una sezione speciale diretta dal capo dell’ufficio tecnico, con un organico di 5 impiegati, costituito da un architetto, un aiuto architetto, un segretario, un disegnatore e un commesso, a cui avrebbe dovuto essere affiancato l’operato di una commissione consultiva, retta dall’assessore di riferimento.

La stesura finale, proprio per volere del primo cittadino, aveva invece preferito un compromesso per garantire la massima autonomia della nuova struttura, con il minimo dispendio di risorse finanziarie comunali. Ciò che contava per il Sangiorgi, in quel particolare momento storico, era dare il via comunque ad un organismo portatore di un nuovo approccio alle Belle Arti, un tempo semplicemente “uno dei tanti compiti dell’assessore dei Lavori Pubblici”, e di importanza quindi molto relativa, per segnare “già un bel passo sulla strada della difesa del patrimonio artistico”[8].

Un’altra critica mossa dai consiglieri comunali al Regolamento riguardò la scelta di affidare la guida del nuovo ufficio direttamente al sindaco e non all’assessore ai Lavori Pubblici. In questo caso la scelta era stata fortemente voluta dal Sangiorgi, che aveva deciso infatti di assumersi la responsabilità della direzione in prima persona, di fronte al Consiglio e alla cittadinanza, proprio per attestare che a Firenze “ la custodia e la tutela dell’arte sia e debba essere la cosa più cara di cui il Municipio può e deve occuparsi”[9]. E a rimarcare l’importanza di questo ruolo nel Regolamento veniva stabilito che nessun lavoro di restauro, ma anche di semplice pulitura e “nessuna opera concernente monumenti o che nuoccia alla loro luce o prospettiva” potesse eseguirsi senza la sua autorizzazione[10].

Il primo cittadino avrebbe dovuto dirigere l’operato del nuovo ufficio servendosi dell’aiuto di una commissione consultiva di Belle Arti, di carica triennale, composta di dodici membri nominati dalla Giunta municipale e suddivisa in quattro sezioni specifiche, ovvero di pittura, scultura, architettura e di storia e archeologia, la composizione  delle quali era stabilita dallo stesso sindaco. Ogni sezione avrebbe dovuto esprimere pareri sugli affari relativi alla materia di propria competenza e curare la formazione di un catalogo delle opere esistenti a Firenze, di proprietà sia pubblica che privata, che avessero attinenza con essa. Era ancora il sindaco che aveva la facoltà di convocare la commissione e le sezioni, di presiederle e di distribuire gli affari secondo le loro competenze.

I commissari, il cui ufficio era gratuito, avrebbero dovuto presentare ogni anno un resoconto dei lavori eseguiti e un elenco di quelli da realizzare nell’anno succcessivo. A svolgere la funzione di segreteria della commissione era chiamato il segretario dell’ufficio, che restava “all’immediata dipendenza del sindaco o dell’assessore delegato”.

In sintesi le funzioni deliberative e consultive del nuovo organismo municipale furono attribuite al sindaco, assistito dalla commissione, con l’ausilio di un impiegato addetto, nella persona del segretario.

La funzione esecutiva era invece demandata ai due tecnici, ovvero l’architetto e il commesso, che restavano sotto la direzione del capo dell’ufficio tecnico comunale e che avevano il compito di stendere le perizie, eseguire i rilievi e dirigere i lavori.

Il capo dell’ufficio tecnico aveva inoltre l’obbligo di partecipare alle sedute delle sezioni  e della commissione di Belle Arti, nel caso esse avessero riguardato l’esecuzione di lavori o l’esame dei progetti.

Il ruolo dell’architetto era considerato cruciale: il Sangiorgi durante la discussione del regolamento aveva sottolineato infatti quanto l’opera di un professionista, che in futuro avrebbe addirittura potuto assumere la direzione dell’ufficio, fosse reputata indispensabile: la manutenzione di alcune delle chiese monumentali di Firenze, e fra tutte “le più meravigliose” Santa Maria Novella e Santo Spirito, “richiedevano cure assidue e lavori senza interruzione” e soprattutto “la vigilanza di persona tecnica”[11].

Al servizio dell’ufficio furono assegnati anche un capomastro ed operai scelti “fra i migliori e fra i più pratici nei restauri, nelle riparazioni e in genere nei lavori per opere, monumenti e costruzioni antiche o artistiche”[12].

I primi anni di attività e la definizione delle competenze

Nei primi mesi del 1908 fu dato il via alla formazione del nuovo organismo municipale.

Il primo atto riguardò l’elezione della commissione consultiva: come da regolamento infatti, il 26 febbraio 1908, la giunta comunale nominò i dodici membri che avrebbero dovuto aiutare e consigliare il sindaco in merito alla futura attività dell’ufficio.

Alcune delle più importanti personalità dell’ambiente storico artistico fiorentino e nazionale furono così arruolate al servizio dell’arte e assegnate alle sezioni che più corrispondevano alle loro competenze. Il celebre storico dell’arte Bernhard Berenson, insieme ad Ugo Ojetti, andò a formare le due sezioni di scultura e pittura, la prima insieme agli scultori Domenico Trentacoste e Cesare Fantacchiotti, la seconda con i pittori Tito Lessi e Raffello Sorbi. Adolfo Orvieto e il principe Tommaso Corsini furono assegnati invece alle sezioni di Architettura e Storia e archeologia, la prima insieme agli architetti Riccardo Mazzanti e Alfredo d’Andrade, la seconda con gli storici Alessandro Chiappelli e Roberto Davidshon[13].

Fu scelto quindi il segretario tra gli impiegati delle segreterie comunali. A ricoprire l’incarico fu chiamato l’allora segretario di Gabinetto, Alfredo Lensi, un giovane funzionario con alle spalle studi di architettura e numerose esperienze nel campo del restauro architettonico e non nuovo a svolgere mansioni in materia storico artistica per l’amministrazione fiorentina[14], che diverrà in breve tempo l’anima portante della nuova struttura (fig. 2) [15].

Per completare la formazione dell’organico dell’ufficio furono trasferiti alcuni impiegati dall’Ufficio tecnico e fu deciso di ricorrere ad un incarico straordinario. Già infatti nel primo anno di attività emerse la necessità di aumentare il numero degli impiegati rispetto a quelli stabiliti dal Regolamento. Il ruolo di architetto fu assunto da Rodolfo Sabatini, a quel tempo vicedirettore dei lavori per la costruzione del Palazzo delle Poste e Telegrafi, cui furono affiancati il commesso Raffaello Bacci, e, in via provvisoria, l’aiuto architetto, Egidio Borri, provenienti entrambi dall’ufficio tecnico[16].

Con la guida del Sangiorgi furono stabilite le azioni più urgenti da compiere e i restauri più importanti da effettuare.

La principale preoccupazione del sindaco, come rivelato nella prima intervista al Marzocco, fu “difendere Palazzo Vecchio da un lento disfacimento”, causato in gran parte dalla sua destinazione a sede degli uffici municipali. Uno dei primi atti fu quindi quello di redigere un piano generale di restauro per liberare le parti monumentali dell’edificio dagli uffici che vi si erano insediati nel corso del tempo, con lo scopo di mantenere nel palazzo soltanto le funzioni rappresentative e allontanare una volta per tutte quelle di carattere più strettamente burocratico (fig. 3). Contemporaneamente furono presi i primi provvedimenti per la redazione di un catalogo dei beni storico artistici di competenza comunale, e per dare il via ad una numerosa serie di interventi puntuali sui monumenti. Le competenze non erano però ancora chiare e il personale dovette occuparsi di portare a termine lavori già iniziati dalla precedente gestione. La documentazione relativa alle Belle Arti per il 1908 infatti presenta numerose pratiche compilate da impiegati dell’ufficio tecnico, firmate dall’architetto Sabatini e vistate dal direttore Tognetti.

Nel corso del 1909 si verificarono i primi contrasti fra le due strutture comunali. L’ufficio tecnico, che fino all’anno precedente aveva sempre eseguito le opere di manutenzione ordinaria dei monumenti, iniziò a fare pressione sul sindaco per mantenere questo tipo di opere all’interno delle sue mansioni e lasciare al nuovo organismo soltanto quelle di maggior impegno tecnico e scientifico. All’inizio dell’estate del 1909 alcuni operai dei lavori pubblici passarono ai fatti: intrapresero, “all’insaputa dell’Ufficio di Belle Arti e Antichità”[17], la pulitura della Fontana del Nettuno in piazza della Signoria, utilizzando procedimenti che scatenarono vivaci polemiche sulla stampa cittadina. L’intervento del sindaco fu tempestivo: l’ufficio tecnico fu richiamato al rispetto del Regolamento del 1907, anche se l’ingegnere Tognetti cercò di difendersi lamentando lo stato di “anarchia” che a suo giudizio regnava alle Belle Arti. Il fatto pose comunque in tutta la sua evidenza il problema della mancanza di chiarezza dei compiti affidati alla nuova struttura municipale e soprattutto l’inadeguatezza numerica del suo personale. Lo stesso Sangiorgi non nascose l’intenzione di provvedere ad una modifica del Regolamento, ma non riuscì a realizzare il suo proposito.

Un tentativo di riforma fu messo in atto due anni più tardi dal commissario prefettizio Alfredo Ferrara, che aveva assunto la guida del Comune di Firenze, dopo la breve esperienza della giunta guidata dal sindaco Giulio Chiarugi. Nello sforzo di migliorare il disastroso stato delle finanze comunali, il commissario aveva proposto la riduzione del numero degli uffici municipali, anche per definirne in maniera chiara le attribuzioni. Nel nuovo disegno l’Ufficio Belle Arti, così come il servizio Giardini e Passeggi, sarebbe divenuto una sezione interna dell’ufficio tecnico.

Feroci critiche si scatenarono sugli organi di stampa e all’interno della commissione consultiva contro la proposta del commissario, vista come un vero attentato contro la tutela dell’arte. Il progetto non fu approvato e l’autonomia dell’ufficio fu preservata.

Le competenze dell’ufficio si erano frattanto ampliate. Allo scopo di incrementare le fonti di finanziamento da destinare ai restauri diretti dalla nuova struttura, costituiti fino a quel tempo per la massima parte dal fondo annuale corrisposto dallo Stato al Comune per il mantenimento delle chiese monumentali, tra il 1909 e il 1911 fu approvato un regolamento  per la creazione di una tassa d’ingresso per la visita delle parti monumentali di palazzo Vecchio e dei chiostri monumentali e cappelle di Santa Maria Novella[18].

A questo si sommarono il compito di designare i luoghi per la collocazione dei quadri della pubblica affissione e l’incarico di sollecitare, curare e sorvegliare il restauro delle case private di interesse storico artistico[19]. In merito a quest’ultimo punto l’amministrazione comunale insediatasi nel dicembre 1910, guidata dal sindaco conservatore Filippo Corsini, approvò un regolamento per il conferimento di premi o concorsi di spesa per lavori “da farsi con criteri artistici a palazzi, case, e monumenti di proprietà privata”[20] (fig. 4 ).

Al fine di stabilire in modo chiaro le competenze rispetto a quelle dell’ufficio tecnico, la giunta comunale Corsini stabilì con deliberazione del 10 novembre 1913 l’elenco dei fabbricati e manufatti la cui conservazione era affidata all’Ufficio Belle Arti[21].

Si tratta di un documento fondamentale: per la prima volta viene messo nero su bianco ciò che doveva essere tutelato dall’ufficio, ed è la prima volta che ai nostri occhi si delinea chiaramente l’imponente massa dei beni immobili di interesse storico artistico di competenza comunale.

All’ufficio erano dati in consegna molti fra i più importanti monumenti cittadini.

Tra le chiese cedute dal demanio spiccavano Santa Maria Novella, Santo Spirito, la Santissima Annunziata, il Carmine; tra gli edifici civili campeggiava Palazzo Vecchio, ma ad esso si affiancavano molti importanti palazzi dell’antica Firenze, fra cui il Palazzo di Parte Guelfa e il Palazzo Corsini in via Maggio. A questi si aggiungevano le antiche mura della terza cerchia con le porte e il forte di San Minato al Monte. Con l’approvazione dell’elenco veniva inoltre affidata all’ufficio la sorveglianza sul parco delle Cascine.

L’ultima attribuzione non era che la naturale conseguenza delle norme emanate dalla legge n.688 del 23 giugno 1912, con la quale venivano estese alle ville, ai parchi e giardini pubblici di interesse storico o artistico le disposizioni della cosiddetta legge Rava, sulle Antichità e Belle Arti del 20 giugno 1909.

Negli anni successivi i compiti affidati all’ufficio vennero ulteriormente modificati ed  estesi. Ogni cambiamento si rifletteva nella composizione dell’organico, che doveva essere messo in grado di corrispondere alle nuove esigenze che via via si presentavano. Lo strumento utlizzato fu  il ricorso all’assunzione temporanea, rinnovabile  di tre mesi in tre mesi, di impiegati straordinari.

Già nel 1912 gli addetti all’ufficio erano sette: oltre al capo ufficio Lensi e al commesso Bacci vi si trovavano infatti l’architetto straordinario, Ezio Zalaffi, l’aiutante tecnico Eugenio Gasperi Campani, l’assistente straordinario Gino Del Conte, l’aiuto commesso Ruggero Sacchi, il sorvegliante ai lavori Emilio Mannucci e l’usciere Giulio Pantraccoli.

L’architetto Zalaffi, che diverrà nei decenni successivi una delle figure più importanti dell’ufficio, venne assunto in servizio provvisorio per un anno nel settembre 1912, con l’incarico di “accudire agli studi per il consolidamento della chiesa di Santo Spirito, ai rilievi delle chiese comunali”[22] (fig. 5). Zalaffi fu riconfermato di volta in volta  per garantire la presenza di un tecnico capace di eseguire rilievi e dirigere i lavori, fino alla sua definitiva assunzione, avvenuta all’inizio del 1915, quando fu istituito nel ruolo del personale un posto di ispettore tecnico presso l’ufficio[23].

Nuove assunzioni straordinarie si resero indispensabili per poter portare a termine la compilazione degli “Elenchi descrittivi delle cose d’arte mobili e immobili di proprietà o di spettanza del Comune”, uno degli obblighi imposti alle amministrazioni locali dalla legge Rava. Per assolvere questo compito, soprattutto dopo l’intimazione da parte della Prefettura al Comune  di Firenze a produrre in breve termine tali elenchi, fu assunto nel 1914, in qualità di impiegato straordinario, l’avvocato Niccolò Santini[24] ( fig. 6).

Con l’approvazione del Regolamento edilizio, deliberata dal consiglio comunale il 16 luglio 1914, furono attribuiti nuovi compiti alla commissione artistica legata all’ufficio: nelle norme del provvedimento veniva infatti assegnato all’organo consultivo l’obbligo di dare parere anche “sui progetti di nuovi monumenti e sulle apposizioni di lapidi, ricordi ecc. esposti al pubblico ed in genere su tutto quanto si riferisce al mantenimento del carattere della città”[25]. Era prevista inoltre la nomina di una sottocommissione di Belle Arti, di sei membri, che avrebbe dovuto deliberare insieme ad una analoga sottocommissione edilizia, sui piani di ingrandimento e di abbellimento della città, tanto di iniziativa pubblica che privata, su tutti i progetti di nuove costruzioni, modificazioni e demolizioni di fabbricati di importanza storico artistica compresi o meno nelle mura cittadine ed infine in tutti quesi casi in cui il sindaco l’avesse ritenuto opportuno.

Durante il periodo di guerra l’ufficio cercò di continuare a svolgere le sue mansioni, nonostante quasi tutti gli impiegati ordinari fossero stati richiamati sotto le armi. L’assunzione di personale straordinario non riuscì però a garantirne la regolare attività: molti compiti come ad esempio la compilazione e aggiornamento dei cataloghi e la sorveglianza sul parco delle Cascine, furono messi da parte per poter continuare i lavori di restauro in corso in alcuni importanti edifici monumentali, fra cui quello riguardante la facciata della chiesa di Santa Maria Novella e la ricostruzione della tribuna albertiana e del campanile della Santissima Annunziata. In questo stato di vera e propria emergenza fu inoltre stabilito, come era prevedibile, che l’ufficio si occupasse della difesa dei monumenti e delle opere d’arte contenute nelle chiese monumentali e in palazzo Vecchio contro eventuali incursioni aeree[26].

Tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 la riforma dell’ufficio tecnico comunale, che prevedeva al suo interno modifiche al trattamento economico dei suoi impiegati senza che queste fossero estese ai funzionari dell’Ufficio Belle Arti, che avevano invece per regolamento parità di qualifica coi colleghi dei lavori pubblici, dette finalmente il via al disegno di riorganizzazione che l’ufficio attendeva da tempo.

La necessità di fare chiarezza sulle disposizioni che si erano via via sucedute nel corso degli anni, mettendole in armonia con il Regolamento edilizio, con la legge sulle Antichità e Belle Arti  e relativa modifica del 1912, portò dapprima, per mezzo di una delibera della giunta comunale del 17 aprile 1917 , ad aggregare all’Ufficio belle Arti  il servizio dei Giardini e Passeggi, dando vita ad una nuova denominazione per la struttura, quella cioè di Ufficio Belle Arti e Servizi annessi.

Con deliberazione del 27 settembre 1918, il consiglio comunale approvò infine il nuovo regolamento per l’Ufficio Belle Arti e Servizi Annessi, che inglobava al suo interno tutte le variazioni di attribuzioni e competenze verificatesi nel decennio precedente, e modificava anche le norme che regolavano la formazione e composizione del personale.

Rispetto al 1907 l’Ufficio acquisiva un ruolo ben definito all’interno dell’amministrazione comunale.

Ai compiti di conservazione e manutenzione dei monumenti e dei beni immobili di proprietà comunale o comunque dipendenti dal Comune di interesse storico o artistico, venivano aggiunti quelli di “conservazione, costruzione ed amministrazione dei parchi e dei giardini pubblici” e “di vigilanza per la parte artistica sui cimiteri comunali”[27].

Accanto all’opera di tutela del carattere della città e al compito di tenere aggiornati i cataloghi delle cose d’arte, veniva sommata quella di gestione e amministrazione dei beni immobili non addetti ai servizi pubblici di proprietà comunale, dei fondi e legati dati al Comune per il mantenimento di edifici di carattere artistico o sacro  e del fondo annuale dovuto al Comune dallo stato per il mantenimento e ufficiatura  delle chiese monumentali.

Con il nuovo Regolamento anche l’organico conquistava finalmente un assetto chiaro e adeguato al ruolo da svolgere. Accanto al segretario, divenuto ormai Capo di Ufficio, erano previsti un Ispettore tecnico, un Aiutante tecnico, tre commessi, un Assistente, un Sorvegliante, il Soprintendente ai giardini, cui si affiancavano un Vicesoprintendente e un Aiutante ai giardini, e più di cinquanta salariati tra macchinisti, boscaioli, giardinieri e operai specializzati[28].


 

* Il presente testo costituisce una sorta di introduzione allo studio dei primi anni di attività dell’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune di Firenze, argomento della tesi che sto conducendo per il dottorato in Conservazione dei Beni Architettonici presso il Politecnico di Milano. Desidero ringraziare per la disponibilità e l’aiuto fornitomi nelle ricerche il direttore del servizio Belle Arti del Comune di Firenze, architetto Giuseppe Cini, Daniele Gualandi, Claudio Mastrodicasa e la direzione e il personale dell’Archivio storico del Comune di Firenze.

 

[1] Archivio storico comunale di Firenze (ASCF), Atti del Consiglio comunale del 1907, adunanza pubblica del dì 26 dicembre 1907, pp. 526- 536. Vedi Appendice 1. Francesco Sangiorgi (1860-1922 ), avvocato e militante dell’Estrema, raggruppamento di sinistra, fu eletto sindaco di Firenze nel luglio 1907 e rimase in carica fino al primo agosto 1909. Sulla sua  vita, e sulla sua carriera politica e il suo impegno nel campo dei beni culturali vedi L. Dal Pane, Un sindaco del periodo giolittiano: l’avvocato Francesco Sangiorgi, in «Atti dell’Accademia delle Scienza dell’Istituto di Bologna. Classe di scienze morali», vol. LX, Memorie, LXVI, 19070-71, pp. 5-77.

[2] Sul funzionamento dell’ufficio dei lavori pubblici del Comune di Firenze vedi S. Bertocci, Architettura, città e territorio. L’organizzazione degli uffici tecnici del Comune di Firenze dal XIX alla prima metà del XX secolo, in I disegni dell’Archivio storico comunale di Firenze, a cura di S. Bertocci, Firenze, Polistampa, 1998, pp. 37-69.

[3] Molti degli articoli del Regolamento dell’Ufficio fiorentino si ispirano agli articoli della legge n.386 del 1907, soprattutto quelli riguardanti la formazione e i compiti del personale. Sulle prime leggi di tutela italiane durante il lungo periodo del governo giolittiano vedi principalmente R. Dalla Negra, La riforma del servizio di tutela (1902-1915), in M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e Istituzioni. Parte II. Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1880-1915, Firenze, Alinea, 1992, pp. 183-211.

[4] ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1907, adunanza pubblica del dì 14 settembre 1907, p. 30. Sull’amministrazione popolare di Firenze vedi L. Piccioli, I “Popolari” a Palazzo vecchio: amministrazione, politica e lotte sociali a Firenze dal 1907 al 1910, Firenze, Olschki, 1989.

[5] Aspirazioni e propositi artistici del Sindaco di Firenze, in « Il Marzocco », XII, n.35, 1° settembre 1907, p.1.

[6] G. Carocci, L’Arte al consiglio comunale, in «Arte e Storia», XXVI, nn. 19-20, 1907, p.158.

[7] ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1907, adunanza pubblica del dì 26 dicembre 1907, p. 529.

[8] Ibidem, p. 528.

[9] Idem

[10] Al sindaco era lasciata la facoltà di poter delegare a un assessore le sue mansioni, o nominare un supplente. Vedi art. 3 del Regolamento, in ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1907, adunanza pubblica del dì 26 dicembre 1907, pp. 533-534.

[11] Ibidem, p. 530.  In realtà negli anni seguenti la figura che assumerà la direzione dell’ufficio diverrà quella del segretario.

[12]ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1907, adunanza pubblica del dì 26 dicembre 1907, p. 534, art. 15 del Regolamento.

[13]ASCF, CF 9250, Deliberazione della Giunta comunale del 26 febbraio 1908. Alfredo d’Andrade, una delle massime autorità in tema di restauro nell’Italia a cavallo fra Otto e Novecento, fu sostituito dall’architetto Adolfo Coppedé.

[14] Alfredo Lensi aveva già ricoperto la carica di vicesegretario della commissione artistica comunale nel 1889.

[15] Alfredo Lensi, architetto fiorentino, giovanissimo venne chiamato in servizio al Comune di Firenze presso l’ufficio di Stato civile. Lavorò come disegnatore presso lo studio dell’architetto Alessandro Papini e in seguito a fianco dell’architetto Corinto Corinti a rilevare le visuali più pittoresche durante le demolizioni edilizie per il Risanamento del Centro di Firenze. Nel 1907 nominato segretario dell’Ufficio di Belle Arti e Antichità del Comune di Firenze, ricoprì il ruolo di Capo dello stesso ufficio per più di trent’anni seguendo e dirigendo, insieme a tecnici fidati quali Ezio Zalaffi ed Eugenio Gasperi Campani, tutti i principali interventi di restauro, dalla sistemazione dei quartieri monumentali di Palazzo Vecchio, ai restauri della facciata albertiana di Santa Maria Novella, al ripristino della cupola della tribuna dell’Annunziata, agli interventi realizzati in nome di Dante sul Palazzo di Parte Guelfa. Nel 1931 fece parte, insieme a Gustavo Giovannoni, del gruppo degli italiani invitati alla stesura della Carta di Atene. Sulla sua vita vedi principalmente A. Lensi, Quaderni di ricordi, Firenze, Centro 2P, 1985 e G. Carapelli, Gli operatori, in G. Isola, M. Cozzi, F. Nuti, G. Carapelli, Edilizia in Toscana fra le due guerre, Firenze, Edifir, 1994, p. 227.

[16] ASCF, CF 9250, Ordinanza del sindaco Sangiorgi del 23 dicembre 1908. Completavano l’organico il muratore Giovanni Nebbiai, e a partire dal 1909, l’assistente ai lavori Gino Del Conte e il sorvegliante ai lavori Emilio Mannucci.

[17] ASCF, CF 9250, Lettera del sindaco Sangiorgi al direttore dell’Ufficio Tecnico, 21 giugno 1909.

[18] Regolamento e tariffa per la visita dei Quartieri monumentali, del ballatoio, e della Torre di Palazzo Vecchio approvato con deliberazione della Giunta municipale del 5 maggio 1909; Chiostri e cappelle monumentali di Santa Maria Novella. Regolamento per l’applicazione di una tassa d’ingresso approvato con deliberazione del consiglio comunale del 20 giugno 1911

[19] Ordinanza del sindaco del 15 gennaio 1910.

[20] Regolamento per il conferimento di premi e il concorso della spesa per restauri da farsi, con criteri artistici, a stabili di proprietà privata, in ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1910, seduta del 4 marzo 1910, pp. 260-268.

[21] ASCF, Delibere di Giunta del 1913, adunanza del 10 novembre 1913, pp. 345-346. Vedi Appendice 2.

[22] Ezio Zalaffi (1881-1956), architetto, figlio del noto fabbro senese Benedetto Zalaffi, acquisisce il titolo di professore di disegno architettonico nel 1903 presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nominato architetto straordinario nell’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune di Firenze, ne assumerà la guida a partire dal 1938. Sulla sua vita vedi G. Carapelli, Gli operatori, in G. Isola, M. Cozzi, F. Nuti, G. Carapelli, Edilizia in Toscana fra le due guerre, Firenze, Edifir, 1994, p. 240 e C. Cresti, Firenze 1896-1915: la stagione del Liberty, Firenze, Uniedit, 1978, pp. 268-269.

[23] Deliberazione del Commissario regio straordinario del 1 dicembre 1915.

[24] Deliberazione del Commissario prefettizio del 3 febbraio 1914 .

[25] ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1914, seduta del 16 luglio 1914, p. 405.

[26]ASCF, Atti del Consiglio comunale del 1916, seduta dell’8 novembre 1916, pp. 240-241. Sulla gestione dell’ufficio negli anni di guerra vedi anche A. Lensi, Quaderni di ricordi, Firenze, Centro 2P, 1985,  p. 154.

[27] ASCF, Atti del Consiglio Comunale del 1918, seduta del 27 settembre 1918, pp. 307-311.

[28] Ibidem, p. 310. L’assistente sostituiva la vecchia qualifica di capomastro e il sorvegliante quella di operaio.