Servizio di Angiologia
e Ambulatorio per la diagnosi
e cura delle ulcere vascolari
degli arti inferiori
ASL 10 Firenze -


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e Ambulatorio per la diagnosi
e cura delle ulcere vascolari
degli arti inferiori
ASL 10 Firenze -  

cell. 338-2518571

Ambulatorio I.O.T. (Istituto Ortopedico Toscano) - Firenze 055-6577269 (viale Michelangelo, 41)

 

LA PATOGENESI DELL'ULCERA VENOSA

EPIDEMIOLOGIA

Nei Paesi Occidentali la prevalenza dell'ulcera venosa si attesta intorno allo 0.2% della popolazione (1). In Italia la cura delle ulcere venose avviene generalmente a domicilio a cura del Medico Curante o di un infermiere e in casi piu' selezionati, presso centri specialistici. Nel Regno Unito, dove la situazione e' simile, e' stato quantificato il tempo dedicato dagli infermieri sul territorio alla cura delle ulcere in circa il 10-30% dell'orario di lavoro (2). Il costo sociale risulta naturalmente molto elevato, tra le 2000 e le 4000 sterline annue per ciascuno dei 150.000-200.000 pazienti con ulcere degli arti, per un totale di circa 600 milioni di sterline (circa 1536 miliardi di lire), il 2% del badget annuale per la Sanita'. Altri studi effettuati in Germania e Brasile su popolazione non selezionata e su pazienti di eta' superiore ai 15 anni, evidenziano un'incidenza di ulcere (non solo venose) degli arti inferiori ancora piu' elevata, dal 2 al 4% (3,4). L'eta' media dei pazienti con ulcera era di 78 anni (52-91) e la durata media dell'ulcera era di 21 mesi. Un recente studio multicentrico italiano ha evidenziato alcune caratteristiche del paziente ulceroso e delle ulcere: l'eta' varia tra i 30 ed i 90 anni (eta' media 65 anni), 76% dei pazienti con un'eta' compresa tra i 51 e gli 80 anni e rapporto tra uomini e donne di 1 a 2. Tra le patologie concomitanti prevalgono l'obesita', le osteoartropatie e le cardiopatie. Gli arti inferiori destro e sinistro sono coinvolti allo stesso modo, il sito dell'arto prevalentemente colpito e' la faccia mediale della gamba (75%), le dimensioni incluse tra 1 e 150 cmq (media 7cmq). Nel 62% dei casi la diagnosi dell'ulcera viene supportata da esami strumentali (prevalentemente doppler c.w.). Il 12% delle ulcere e' risultato non responsivo al trattamento e non guariva entro i 6 mesi dall'inizio del trattamento; dopo 60 giorni il 55% delle ulcere era guarito, dopo 120 giorni la percenuale saliva all'82% (5). La scelta tra trattamento domiciliare o ambulatoriale ha naturalmente motivazioni contrastanti; a sfavore del primo ci sono le numerose visite a domicilio (2 o 3 alla settimana per paziente) con tempi, tra spostamenti e visita, che vanno dai 40 ai 60 minuti ciascuna, con trattamenti che risultano spesso piu' empirici e raramente rivalutati da parte del medico, eseguiti magari in ambienti non sempre idonei. A sfavore del trattamento ambulatoriale ci sono invece gli spostamenti non sempre facili per le condizioni dei pazienti, i costi per il materiale di medicazione a maggior carico del SSN ed il minor personale medico ed infermieristico dedicato dal SSN a tale attivita'. Nonostante cio' il Lothian and Forth Valley Leg Ulcer Study ha valutato che ben il 71% dei pazienti con ulcere viene curato a domicilio. Questo stesso studio ha messo in evidenza un altro fattore importante: le recidive. Dopo trattamento conservativo le recidive erano del 46% e molti dei pazienti avevano storie di ulcere recidivanti da piu' di 10 anni; valutando questa discontinuita', la durata delle ulcere saliva ad una media di 16.6 anni (da pochi mesi a 50 anni) (6).

PATOGENESI

La patogenesi dell'ulcera venosa puo' essere suddivisa in tre fasi: la prima e' l'alterazione del macrocircolo (che coincide con l'insufficienza venosa cronica); la seconda e' costituita dalle alterazioni del microcircolo e la terza dalle alterazioni cellulari, biochimiche e tessutali che portano infine all'ulcera.

Insufficienza venosa cronica (IVC) L'IVC e' causata dalle alterazioni valvolari del circolo venoso profondo (piu' raramente del superficiale). Queste alterazioni, che portano ad una insufficienza dell'apparato valvolare con conseguente reflusso venoso, possono essere primitive o, piu' frequentemente, secondarie ad una trombosi venosa. La ricanalizzazione che segue questa patologia coinvolge anche i lembi valvolari, provocando delle lesioni irreversibili che rendono la valvola incompetente. Naturalmente, maggiore e' il numero degli apparati valvolari lesi, peggiore sara' l'IVC; alla fine si avra' un aumento della pressione venosa che sara' evidente comunque solo durante la deambulazione (7). (L'elevata pressione venosa che si ha nel circolo profondo della gamba ha uno scarso effetto diretto sulla cute o sui tessuti sottocutanei, dai quali e' separato dai muscoli e dalla fascia profonda. Ci deve essere quindi un tramite che possa trasferire questa ipertensione al sottocutaneo. Gia' nel 1867 Gay descrisse le vene perforanti della caviglia e del polpaccio e Homans nel 1919 suddivise le ulcere della gamba in quelle associate a vene varicose ed in quelle post-flebitiche. Queste ultime erano descritte come ulcere difficili, a decorso rapido e per la cui guarigione si doveva procedere all'escissione fino alla fascia profonda con conseguente asportazione della vena tributaria della perforante. Nel 1931 Turner Warwick diede la prima dimostrazione del flusso ematico dal circolo venoso profondo (CVP) al circolo venoso superficiale (CVS) attraverso le vene perforanti (VP) insufficienti. La maggior parte delle ulcere venose si colloca al di sopra del malleolo mediale o, meno frequentemente, di quello laterale. Queste regioni della caviglia sono drenate da una rete di piccole tributarie delle VP dirette (la corona flebectatica) che non sono normalmente visibili. A seguito dell'insufficienza delle VP, tali venule si dilatano e danno luogo all'eritema venoso della caviglia, segno che puo' essere frequentemente osservato prima dello sviluppo della lipodermatosclerosi o dell'ulcerazione. Queste venule comunicano preferenzialmente con il CVP ma anche con la grande safena e, attraverso le VP metatarsiche, con le vene profonde del piede e della gamba. Bjordal nel 1981 (8) effettuo' misurazioni dirette della pressione nelle vene superficiali della porzione distale del polpaccio e della caviglia e dimostro' il trasferimento dell'elevata pressione attraverso le VP insufficienti, durante la sistole muscolare dall'interno all'esterno e in senso contrario durante la diastole, con flusso netto verso l'esterno di 60ml/min. Questo passaggio sembra quindi uno dei maggiori responsabili delle alterazioni finali del microcircolo.

Il Microcircolo L'ipertensione venosa prodotta dall'insufficienza venosa cronica primitiva e secondaria alla trombosi venosa o ancora dalla rara presenza di fistole artero-venose puo' condurre al quadro della microangiopatia venosa ipertensiva (VHM - venous hypertensive microangiopathy). Questa patologia e' caratterizzata da vari fattori: -aumento del flusso cutaneo di base (valutato con flussimetria laser-doppler) (9); -marcata riduzione del riflesso veno-arteriorale (VAR) nel passaggio dal clino all'ortostatismo; -riduzione della correlazione flusso/temperatura (10); -marcato aumento della PCO2 transcutanea. Anche la PO2 ha andamento analogo, ma la correlazione e' meno costante (11); -aumento della permeabilita' capillare che pero' tende a ridursi nelle fasi piu' avanzate dell'ulcera (10); -riduzione dell'attivita' fibrinolitica che determina accumulo di fibrina intorno ai capillari piu' distali (12). L'aumento di flusso cutaneo e' conseguenza diretta della stasi venosa che si riflette sul microcircolo causando il fenomeno del micropooling; questo rallentamento del flusso porta ad un accumulo di CO2 con conseguente vasodilatazione cutanea. Il riflesso veno-arteriolare (VAR) di origine simpatica determina una riduzione del flusso cutaneo nel passaggio dal clinostatismo all'ortostatismo; tale riflesso pero' e' ridotto nell'IVC a causa dell'elevata PCO2 cutanea che mantiene la vasodilatazione. La riduzione del VAR si associa all'edema periferico e ad un ulteriore micropooling; tali alterazioni provocano anche danni alle terminazioni nervose causando un ulteriore peggioramento del VAR e creando quindi un circolo vizioso ingravescente. La cute nelle aree di lipodermatosclerosi presenta una ridotta risposta vasodilatatoria al riscaldamento rispetto alla cute sana e questa potrebbe essere una delle cause della riduzione della PO2 transcutanea (13). E' comunque soprattutto l'aumento della PCO2 il fattore che sembra determinante per la dinamica della microangiopatia e cio' sembrerebbe dimostrato dalla stretta correlazione tra la PCO2, le pressioni venose deambulatorie ed i parametri laser-doppler (14). L'edema della caviglia si correla inversamente all'efficacia del VAR, ed e' proprio la riduzione di questo che favorirebbe l'aumento della filtrazione capillare, lo stravaso di fluidi dal compartimento capillare a quello extravasale e l'aggravamento dell'edema. L'evoluzione della malattia si accompagna all'ulteriore stravaso di fluidi, responsabile, con la riduzione dell'attivita' fibrinolitica (15), dell'accumulo di fibrina intorno ai capillari piu' distali (ipotesi delle "fibrin cuffs" di Browse e Burnand). E' proprio questo che, in contrapposizione alla fase precedente, causerebbe una riduzione della filtrazione capillare e dell'edema soprattutto nelle fasi piu' avanzate della liposclerosi e dell'ulcera e sarebbe anche causa della riduzione della diffusione di O2 e di altre molecole con conseguente sofferenza tessutale (16). Tale suggestiva ipotesi non e' stata pero' confermata dagli studi sui modelli teorici della diffusione dei gas eseguiti da Michel. Questi afferma che la composizione della cuffia di fibrina e' in realta' per il 99% costituita da acqua e che sarebbe inadatta ad impedire la diffusione delle molecole piu' piccole (17). E' innegabile comunque che le alterazioni del microcircolo hanno una grande responsabilita' nella genesi dell'ulcera; ne e' ulteriore dimostrazione il fatto che sebbene l'ipertensione venosa esista anche a livello del piede e dell'alluce, in queste due regioni non si osservano alterazioni significative ne' del flusso cutaneo ne' del VAR e non vi si riscontrano lesioni clinicamente evidenziabili al contrario di cio' che avviene a livello malleolare.

Microtrombosi Ehrly e Partsch hanno ipotizzato che la riduzione del flusso ed il suo rallentamento possano provocare dei microtrombi nel microcircolo con conseguente ipossia (18).Gli stessi Autori hanno poi suggerito di trattare le ulcere con basse dosi di trombolitici, osservando un aumento della TcPO2 ed una riduzione delle dimensioni delle lesioni. Tale atteggiamento non ha avuto un largo seguito, pur avendo una base teorica logica e razionale e ai farmaci trombolitici sono stati preferiti spesso farmaci pro-fibrinolitici (defibrotide) per sfruttare un' ipotetica azione sulla cosiddetta cuffia di fibrina (19).

I Leucociti L'ipotesi che i leucociti fossero in qualche modo coinvolti nella genesi dell'ulcera venosa si deve a Coleridge Smith che si baso' anche sugli studi di Moyses e Thomas che avevano osservato un intrappolamento di globuli bianchi negli arti di pazienti con IVC o con ipertensione venosa provocata. L'ipotesi suggeriva che queste cellule intrappolate a causa della riduzione del flusso, avrebbero potuto produrre danno dell'endotelio a causa della liberazione di radicali liberi e di enzimi proteolitici e ostruzione dei capillari con conseguenti aree ischemiche e di danno tessutale. Cio' sembrava confermato anche dall'osservazione alla capillaroscopia microscopica di un ridotto numero di anse capillari soprattutto nei pazienti con lipodermatosclerosi, riduzione direttamente proporzionale all'aumento della pressione venosa deambulatoria (20,21,22). Altri Autori osservarono che i capillari in corso di ipertensione venosa deambulatoria apparivano dilatati, confermando inoltre una notevole riduzione del flusso ematico. Questi due fattori in combinazione potevano inoltre costituire un importante stimolo all'adesione leucocitaria nelle venule post-capillari, creando un evidente circolo vizioso (23). Il fenomeno non sarebbe comunque ubiquitario e l'intrappolamento dei leucociti si avrebbe solo in una piccola zona di cute immediatamente prossimale ai malleoli. Piu' recentemente, in pazienti di controllo nei quali si e' provocato un'ipertensione venosa per 30', sono stati misurati i valori di elastasi e lattoferrina nel plasma, enzimi normalmente depositati nei granuli dei neutrofili, e che sono risultati elevati, segno indiretto di un'attivazione leucocitaria (24). Questi valori sono risultati elevati anche in pazienti con IVC, su sangue refluo dal braccio (25) ed in pazienti nei quali era stata provocata ipertensione venosa, pur in assenza di segni di IVC, su sangue refluo dagli arti inferiori (26). Proprio sulla base di questo studio gli Autori hanno ipotizzato che in pazienti con danno valvolare, la ripetuta esposizione degli arti inferiori all'ipertensione venosa e all'attivazione dei neutrofili, potrebbe dare inizio ai cambiamenti trofici della cute osservati nell'IVC.

Interazione Leucociti-Endotelio La migrazione dei leucociti dal torrente ematico agli spazi tessutali e' una caratteristica del processo infiammatorio. Questo stravaso coincide con la liberazione da parte dei granulociti di molte sostanze attive ed enzimi idrolitici che in condizioni normali giocano un ruolo vitale nella difesa dai microorganismi patogeni, ma che talvolta possono provocare danni anche nelle cellule normali dello stesso organismo ospitante. Tale meccanismo di distruzione e' comunque molto complesso e sembra coinvolgere una serie di reazioni che iniziano a livello microcircolatorio. Questa localizzazione ha portato al concetto che l'adesione dei neutrofili all'endotelio delle venule post-capillari sia un evento precoce durante il processo infiammatorio. L'interazione tra endotelio e granulociti sembra coinvolgere sia stimoli chemiotattici che molecole di adesione espresse dall'endotelio e dai granulociti (27). Almeno tre categorie di molecole di adesione meritano di essere menzionate: le integrine beta2 leucocitarie (CD11a/CD18, CD11b/CD18, CD11c/CD18), i membri della superfamiglia delle immunoglobulin-gene, molecole di adesione intracellulare 1 e 2 (ICAM-1 e ICAM-2) e la famiglia delle selectine (E-selectina, P-selectina e L-selectina) (28). Una forma di infiammazione acuta nella quale i neutrofili giocano un ruolo essenziale e' ad esempio la reazione "ischemia/perfusione (I/R)"; piu' precisamente le selectine sarebbero mediatrici del debole legame che si ha nel corso della precoce adesione dei leucociti nei vasi terminali, mentre CD11/CD18 e ICAM-1 parteciperebbero all'adesione permanente nei tessuti post-ischemici (29). Nelle venule i globuli rossi, piu' piccoli e rapidi, sorpassano e sospingono i leucociti verso la parete del vaso. Mentre questo movimento assiale aumenta la possibilita' di un contatto tra i leucociti circolanti e le cellule endoteliali, i restanti neutrofili non aderiranno alle cellule endoteliali non stimolate; cio' in correlazione al fatto che le cellule endoteliali possono non esprimere costituzionalmente i controrecettori per i siti leganti la selectina sui neutrofili (30). D'altra parte, l'ICAM-1 e' espressa sull'endotelio non attivato, ma le integrine espresse dai leucociti non attivati sono incapaci di legarsi a questa molecola adesiva. Tuttavia il rilascio di stimoli chemiotattici sui siti dell'infiammazione da' inizio all'attivita' e al movimento dei leucociti, promuovendo l'espressione della selectina nelle cellule endoteliali delle venule post-capillari (31). L'interazione tra selectine endoteliali ed il loro controrecettore sulla superficie dei leucociti media la debole reazione che segue l'iniziale adesione (rolling) dei leucociti e rallenta il transito dei neutrofili nel passaggio lungo la superficie delle venule post-capillari. Il lento passaggio permette a queste cellule di monitorare l'ambiente in cui si trovano, per l'attivazione di fattori come il fattore attivante le piastrine (PAF), alcune citochine ed il leucotriene B4 (LTB4) (32). Quando il neutrofilo viene attivato anche da piccole quantita' di stimoli pro-infiammatori, si ha subito un rapido cambiamento nell'adesivita' leucocitaria nel sito nell'infiammazione. L'attivazione dei neutrofili induce un cambiamento nelle integrine leucocitarie che interagiscono con ICAM-1, e/o ICAM 2. Le interazioni ICAM-1, CD11/CD18, mediano le forti interazioni adesive coinvolte nel processo di adesivita' permanente. Una volta che il leucocito e' permanentemente adeso puo' transmigrare, aiutato in questo dal PECAM-1 (molecola 1 dell'adesione cellula endoteliale-piastrina), sostanza espressa dalle cellule endoteliali solo a livello delle giunzioni intracellulari. La L-selectina e' una molecola adesiva espressa dai leucociti circolanti ed e' rapidamente evidenziata sulla superficie di questi dopo la loro attivazione, cio' facilita l'adesione e la migrazione leucocitaria (28). Gli altri due membri della famiglia delle selectine, la P e la E, si trovano sulla superficie delle cellule endoteliali attivate. Nessuna di queste viene costituzionalmente espressa su tale superficie, ma puo' essere mobilizzata sulla superficie cellulare dopo l'esposizione a stimoli specifici come la trombina, l'istamina e alcune citochine ed endotossine (28). Il rilascio della P-selectina e' rapido come quello dalla L-selectina leucocitaria, mentre la sintesi di E-selectina avviene nel corso di diverse ore. Alcuni studi recenti indicano che le selectine contribuiscono sicuramente all'adesione leucocitaria; cio' avviene in molti modelli di infiammazione, come, per esempio, in quello gia' menzionato dell'I/R; in studi in vitro ed in altri su alcune specie animali come ad esempio i topi "knockout", nei quali un deficit genetico di L, P ed E-selectina si accompagna ad una ridotta adesivita' leucocitaria(28). Negli stessi studi e' stato notato come il PAF venisse espresso in concomitanza alla P-selectina sulla superficie delle cellule endoteliali attivate, costituendo in tal modo un esempio costante di co-espressione di due molecole come markers dell'adesione leucocitaria. Cio' avviene anche per il complesso E-selectina/IL-8, che media il passaggio dall'adesione leucocitaria reversibile a quella permanente nelle fasi piu' avanzate del processo. Come l'adesione leucocitaria sia poi coinvolta nella genesi dell'ulcera venosa e' un problema piu' complesso e non ancora completamente chiarito. Ci sono evidenze in letteratura sul ruolo dei leucociti in alcune varieta' di altri disordini ischemici (32). Ricordiamo inoltre gli studi indiretti, sopra descritti, sull'intrappolamento leucocitario in corso di IVC, sulla "cuffia di fibrina" e sulla degranulazione leucocitaria con aumento di lactoferrina ed elastasi.. In particolare Whiston ha notato che i neutrofili ottenuti da pazienti con ipertensione venosa risultavano gia' attivati rispetto a quelli dei controlli e presentavano una risposta aumentata agli stimoli chemiotattici (33). Alterazioni dell'espressione di CD11b/CD18 sono state notate sia in pazienti con malattia venosa sia in corso di ipertensione venosa sperimentale (34,35). Infine, forse la dimostrazione piu' importante sulla validita' di questo modello, e' la rilevazione di un aumento di molecole di adesione, ICAM-1 e VCAM-1, nelle biopsie cutanee ottenute da pazienti con IVC (36).

Nuove ipotesi Le ipotesi patogenetiche sul danno tessutale in corso di ipertensione venosa, fino ad ora esposte, hanno preso in considerazione diversi aspetti: l'ischemia, gli shunt artero-venosi, le cuffie di fibrina e piu' recentemente l'adesione leucocitaria. A quest'ultima ipotesi dobbiamo il merito di aver introdotto il concetto di danno "infiammatorio". Su questa base altri Autori (37) hanno pero' introdotto un nuovo elemento patogenetico: il danno tessutale linfocito-mediato. Probabilmente il meccanismo del danno tessutale di tipo cellulo-mediato e' complesso e coinvolge molti fattori; alcuni di questi sono gia' stati ipotizzati: - produzione monocito-macrofagica-dendritica di IL-12; - stimolo alla differenziazione dei T-helper CD4+ in Th1; - produzione di IFN-gamma, IL2, TNF beta; - incremento dell'espressione di molecole di adesione; - incremento della produzione di Th1, IL-12 dipendente e inibizione della differenziazione in Th2. In particolare l'IFN-gamma sembrerebbe responsabile dell'aumentata espressione e attivazione del FAS Ag e dell'apoptosi keratinocitica e contemporaneamente dell'inibizione della produzione fibroblastica di PDGF, dell'angiogenesi e della sintesi di collageni miofibroblastici (38). Sono gia' molti i lavori in corso che cercheranno di far luce su questi meccanismi.

CONCLUSIONI

Se dal punto di vista emodinamico sembra che gli studi siano piuttosto avanti, non si puo' dire altrettanto di quelli sul meccanismo cellulo-mediato o su altri meccanismi patogenetici, ancora ipotetici, del danno tessutale. Purtroppo cio' limita notevolmente l'attuale scelta terapeutica nell'IVC che si basa ancora sui cardini classici dell'elastocompressione e di eventuali correzioni chirurgiche e/o scleroterapiche complementari. Queste tentano di correggere le alterazioni macro e microcircolatorie per prevenire quelle alterazioni che portano infine al danno tessutale. Farmacologicamente possiamo fare ancora poco. Anche dal punto di vista delle classificazioni dell'IVC siamo piuttosto limitati. Le principali si basano prevalentemente sulle alterazioni cutanee obiettivabili, che purtroppo sono piuttosto tardive e spesso irreversibili. Dovremmo quindi cercare, con nuovi studi, di approfondire ed anticipare la fase di riconoscimento delle alterazioni tessutali e con cio' anche la fase dell'intervento farmacologico piu' efficace.

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